Una breve notizia dei Sinassario, al 14 giugno dei Mineo di Settembre, ci parla del luminare della Chiesa Metodio, arcivescovo di Costantinopoli , Nuova Roma, e Patriarca Ecumenico. Il Typikon di Costantinopoli, che lo ricorda come confessore della fede, descrive la particolare solennità: all'alba del 14 giugno una Litì si svolgeva da Santa Sofia al Foro e da qui, dopo le consuete preghiere, raggiungeva la basilica degli Apostoli dove si celebrava la Liturgia in una cappella ch'era dedicata a san Metodio e ne conservava il corpo incorrotto. Sappiamo che si cantava il prokimeno Ps. 31, 11.1 (Gioite nel Signore ed esultate, giusti ...), l'Apostolo Giac. 5, 7-20 (Il profeta parla nel nome del Signore; converte dall'errore e salva i peccatori), l'alliluiario Ps. 96, 12 (celebrate la santità dei giusti) e il Vangelo Lc. 4, 22-30.

Questa pericope (Nessun profeta è bene accetto in patria) si adatta a perfezione alla vicenda terrena di Metodio, ma anche al suo postumo "successo": non si può di certo dire che oggi egli sia tra i santi più venerati, mentre nella sua patria terrena è pressoché sconosciuto. Eppure ci troviamo davanti ad un gigante della fede e ad uno dei personaggi chiave della storia dell'Impero Romano.

Metodio nacque attorno al 789 in quella che - per splendore di monumenti, vivacità culturale, prosperità economica - era forse, dopo Costantinopoli, la seconda città dell'impero: Siracusa, la città della Sicilia fondata nel 734 a.C. da Corinzi guidati da Archia in una delle più belle rade del Mediterraneo. Siracusa, le cui mura si stendevano per ben 22 chilometri, è nota per aver dato i natali a Epicarmo, il creatore della commedia, a Teocrito, cantore bucolico, ad Archimede, filosofo e matematico, a santa Lucia, vergine e martire, a san Giuseppe, il più grande innografo della Chiesa ortodossa. Ricordata in Atti 28, 12 per aver ospitato l'apostolo Paolo, Siracusa era stata evangelizzata dall'antiocheno san Marciano, inviato dall'apostolo Pietro, e fu salutata dallo stesso Leone II, papa di Roma Antica (682\3), come la più antica, la prima Chiesa dell'Occidente.

Dopo un lungo assedio, il 21 Maggio dell'878, Siracusa cadde in mano ai Saraceni: il monaco Teodosio, tra i pochi scampati all'eccidio che ne seguì, cantò con mirabili e commoventi accenti la morte della bella e ricca Siracusa, la città che già aveva destato la stupita ammirazione di Platone ed Aristotele e che dal 642 era stata per qualche anno "capitale" dell'impero al tempo di Costante II . Da quel suo giorno fatale, in seguito mai più tornata all'antico splendore, era ormai passato un secolo esatto da quando il figlio dell'Illustre Giovanni, Metodio, muoveva i suoi primi passi nell'Isola delle Quaglie (Ortigia), l'approdo dei coloni Corinzi, lì dove il fiume Alfeo si era unito alla ninfa Aretusa . A circa 18 anni, a un giovane di prestigiosa e ricca famiglia quale quella di Metodio si aprivano due strade: il monastero o gli studi superiori, "universitari", che però comportavano lo studio delle "eretiche" o "empie" dottrine platoniche. Metodio scelse la strada del monastero e da Siracusa partì alla volta di Costantinopoli avendo come guida sant'Eutimio, vescovo di Sardi, che nell'805 era stato esiliato nell'isola di Pantelleria, nel mezzo del Canale di Sicilia, a occidente di Trapani e Marsala.

E' solo frutto di fantasia la diffusa convinzione che l'iconoclasmo abbia provocato un massiccio esodo - quasi una seconda colonizzazione - dall'Oriente in Italia Meridionale (quasi che l’Italia Meridionale fosse all'estero e non facesse parte dell'impero romano!) ma è certo che in una regione dove l'iconoclasmo non fu meno violento che a Costantinopoli (vedi, per esempio, il caso di Crescente, iconoclasta vescovo di Lentini, oggi in provincia di Siracusa), la presenza degli iconoduli fu, per così dire, di qualità: vescovi e, soprattutto, monaci che, o si nascosero (seguendo in questo il suggerimento dato da san Teodoro Studita), o furono esiliati nella remota Osteades (Ustica), nelle Eolie, nelle Egadi, nelle Pelagie; più che isole, isolotti dispersi attorno alla Sicilia, ancora ai nostri giorni utilizzati come confino e carceri “di massima sicurezza”, ancora oggi spesso esclusi da qualsiasi contatto a causa delle avverse condizioni dei mari. Fu certo grazie ad una presenza così qualificata e incisiva che - com’è noto - al VII° Concilio Ecumenico (787) il gruppo più compatto, più agguerrito e turbolento, più deciso in difesa del culto delle icone si rivelò quello formato dagli ecclesiastici provenienti da Calabria, Sicilia e Sardegna: l’arcidiacono Epifane di Catania che nella Magnaura di Nuova Roma pronunciò l'orazione conclusiva delle sette rapide sedute sinodali, si può dire che si fosse portato, già scritto, il discorso in tasca .

La formazione giovanile di Metodio si era svolta dunque in un ambiente fortemente influenzato da iconoduli e da ostinato, fervente, iconodulo egli si comportò nella sua breve vita. Monaco nel Monastero del Lago delle Papere (Chenolakko), fu collaboratore del patriarca san Niceforo e - a soli 25 anni - consacrato arcidiacono. A 36 anni lo troviamo igumeno di Chenolakko e del Monastero degli Enigmi, da lui stesso fondato a Kio. Il sinodo iconoclasta dell'815 lo costrinse a fuggire a Roma Antica.

Qui la vita non era più sicura che a Nuova Roma, dal momento che da poco era nato lo Stato Pontificio e la piazza era in mano ai Franchi che a Francoforte, in un sinodo celebrato nel 794 con l'approvazione degli imbelli legati del Papa, avevano platealmente ripudiato il VII° Concilio Ecumenico e abbracciato un sostanziale iconoclasmo . Non mi sento di escludere che la vista di una città un tempo gloriosa per il sangue dei martiri, un tempo famosa per l'ortodossia di molti suoi vescovi ma, ora imbarbarita e sempre più velocemente avviata verso la separazione da tutte le altre Chiese della Ecumene romana e ortodossa, non abbia influito psicologicamente in negativo su Metodio, che fu sul punto di abbandonare la vita monastica.

Metodio fuggì allora da Roma Antica e dalla scostumatezza che vi si andava affermando e preferì tornare a Costantinopoli - nell'821 - dove non l'aspettava la bella vita o gli onori, ma la tortura e il carcere. Per convincerlo a rinnegare il dogma del VII° Concilio Ecumenico, gli aguzzini percossero così a lungo e così violentemente Metodio che egli per il resto dei suoi giorni fu costretto a sorreggere con una fascia le mandibole slogate. Per quasi venti anni Metodio fu tenuto incatenato in una fogna, confortato solo dalla presenza del suo maestro spirituale d'un tempo, sant'Eutimio di Sardi, che morì tra le sue braccia.

Nell'838 Metodio fu infine scarcerato: era ridotto ad uno scheletro eppure fu costretto a partecipare alla guerra contro gli Arabi; nell'845 - a seguito della rinuncia di un suo grande amico, san Michele il Sincello - fu eletto arcivescovo di Costantinopoli, Nuova Roma, e Patriarca Ecumenico. La sua nomina era stata voluta fortemente - oltre che dall'imperatrice Teodora - da san Ioannikios di Bitinia, da sant'Isaia di Nicomedia e da san Simeone di Lesbo.

Appena eletto patriarca, Metodio incaricò san Lazzaro il Kazaro di restaurare la celebre icona del Salvatore ch'era venerata nel quartiere di Chaiki e si circondò di igumeni e vescovi di provata fede ortodossa e ascetica vita: scelse san Michele il Sincello come igumeno di Chora e san Naucrazio come igumeno di Studion; alla diocesi di Sylaion prepose l'eremita Pietro e alla metropoli di Nicea san Teodoro Grapto, il Marchiato.

Nonostante la sua intransigenza dottrinaria, Metodio non fu vendicativo nei confronti degli iconoclasti che, sinceramente pentiti, abbandonavano l'eresia per riconciliarsi con la Chiesa ed agì con prudenza: nell'844 richiamò dall'esilio san Teofilatto e lo restituì alla sua sede di Nicomedia, nell'847 diede onorata sepoltura - nella basilica degli Apostoli - al patriarca san Niceforo. L'atto più importante del suo patriarcato è, però, senza dubbio, l’istituzione della Festa della Ortodossia (11 marzo 843).

La sua collocazione alla prima domenica di quaresima non fu casuale. Forse da piccolo, Metodio era stato abituato ad ascoltare, nella prima domenica dei digiuni, omelie sul digiuno e le tentazioni del Salvatore, secondo quella che sembra essere stata un'antica tradizione dell’Italia meridionale; tuttavia, all'età di Metodio, a Costantinopoli si celebrava in quel giorno la memoria dei santi profeti Mosè, Aronne e Samuele. L'Apostolo del giorno (Ebrei 11, 24-26.32-40) sembrava descrivere le disavventure di Metodio e degli altri sostenitori del culto delle icone, ma soprattutto il Vangelo (Gv 1, 44- 52) rendeva a meraviglia il significato della festa che si istituiva: Dice Filippo: Vieni e vedi... Rispose Gesù: Più grandi di queste cose vedrai... vedrete il cielo aperto. Ma anche il popolare tropario del giorno era riferibile al culto delle icone: Quando sei apparso nel fuoco e ti sei corporeamente manifestato, ... hai indicato l'immagine della nuova Grazia .

Consumato da un cancro, Metodio morì, giovane, il 14 giugno dell'847 e fu sepolto nella basilica degli Apostoli: più di metà della sua vita era trascorsa in condizioni di atroci sofferenze, spirituali e fisiche. Il canone, l’inno per la festa di san Metodio fu composto dal patriarca san Fozio, mentre la Vita è attribuita a uno straordinario, importante, personaggio della storia della Chiesa ortodossa: l'arcivescovo di Siracusa Gregorio l'Asvesta. Non fu solo l'omaggio di due grandi a un grande, ma anche quel che scherzosamente potremmo definire un "affare di famiglia" siciliana: Metodio, Gregorio l'Asvesta, il patriarca Fozio, il patriarca Tarasio, il patriarca Nicola il Mistico, ecc. pare fossero tutti parenti tra loro.




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