Benché fosse il più giovane di quattro fratelli, Stefano Zavidovic Nemanja era “per grazia di Dio il più saggio e il più grande”. Fu allevato nell'Ortodossia dai pii familiari di rango reale e ricevette la migliore educazione del tempo. Eccelleva in tutte le discipline, specialmente nello studio della Scrittura e degli insegnamenti dei Padri. A 15 anni gli furono date da amministrare, come parte del suo patrimonio, le regioni di Toplica, Ibar e Rasina, che egli resse per venti anni (1129-1149) con abilità unita a pietà, così da stupire i governanti stranieri per la sua politica saggia e ispirata da Dio in tale giovane età . Ad esempio, l'imperatore bizantino Manuele I Comneno (1143-1180), in visita nel 1146 alla città di Nis, fu tanto colpito da lui da onorarlo col grado di sebastokrator (autocrate) e concedergli, in segno di pace e amicizia politica, Glubocica (Metohija), dicendo: “Questa è per voi ei vostri discendenti, per sempre; essa non sarà più divisa né con me, né con i miei parenti”.

Nel 1149 morì il padre che nominò per testamento Stefano - pur essendo il figlio più giovane - sovrano di tutta la Raska (le terre orientali fra l'odierna Novi Pazar e Nis) . I tre fratelli più vecchi, Tihomir, Miroslav e Strazimir, ebbero territori minori. Questo fatto ne scatenò naturalmente l'ira, perché essi, come i fratelli di Giuseppe, erano gelosi: Vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano parlargli amichevolmente ( Gen 37,4). Fu una durissima esperienza per Stefano, desideroso di mettere in pratica le parole del salmista: Che cosa è bello o che cosa dà gioia, se non l'abitare dei fratelli insieme? ( Sal 132,1). Ma il Signore non si dimenticò del suo fedele servo e gli concesse grande consolazione e ricompensa spirituale. Nel 1150, a 36 anni, Stefano sposò Anna, la bella figlia venticinquenne dell'imperatore bizantino Romano IV Diogene .

Questo matrimonio fu predisposto in cielo. Fu una santa e divina unione di amore, pace e gioia; generò due santi della Chiesa ortodossa - i pii e gloriosi figli Sava e Stefano Primo Coronato (insieme a Vukan); rafforzò inoltre sia i futuri legami della Serbia con Bisanzio sia l'Ortodossia, contribuendo a fare dei serbi un popolo di Dio. Allo scopo di testimoniare al Signore affetto e gratitudine per la loro unione, Stefano e Anna costruirono il monastero della Santa Vergine di Kursumlija, alla foce del fiume Kosanica, presso Toplica . Esso fu proclamato il monastero principale della principessa Anna. Tale riconoscimento fu un gesto d'amore da parte di Stefano, considerando la lontananza della moglie greca dalla natia Costantinopoli. Lei vi ricevette la tonsura monastica in seguito, col nome di Anastasia, a 70 anni di età, il giorno dell'Annunciazione (25 marzo 1196), passando gli ultimi cinque anni della sua vita in pace, solitudine e umile servizio dell'eterno sposo, il Salvatore Cristo (v. 21 giugno).

Nei primi anni del loro matrimonio l'Onnipotente donò a Stefano e Anna due bei figli: Vukan e Stefano. Per mostrare la sua riconoscenza, il sovrano fece costruire alla foce del fiume Banja un monastero in onore del suo krsna slava (patrono della famiglia), san Nicola, il taumaturgo di Myra di Licia (festa il 6 dicembre). Nel 1165, a 51 anni, per volontà popolare Stefano divenne il “grande zupan di tutte le terre serbe” e scelse come capitale, nel cuore di esse, la città di Ras (oggi presso Novi Pazar) . Le due regioni della Serbia - la costiera Zeta e la più interna Raska - erano sotto il suo dominio col riconoscimento ufficiale dell'imperatore bizantino. Questo successo, tuttavia, fu ottenuto con grandi fatiche, poiché la gelosia dei fratelli maggiori rappresentava una costante minaccia sia per il suo governo, sia per il suo impegno religioso. Essi continuamente protestavano per l'erezione di troppe chiese. Venuto a conoscenza degli attacchi alla sua persona e alla sua opera, Stefano scrisse loro: “Diletti fratelli, siamo figli degli stessi genitori; vi prego di non biasimare il mio lavoro e la mia politica, ispirati dalla grazia di nostro Signore Gesù Cristo. Tutto ciò che volete fare nelle terre affidatevi, siete liberi di farlo. Ma tutto ciò che io faccio di bene o di male, lasciatelo alla mia responsabilità davanti al Signore.E possa Dio perdonarci per la sua grazia e la sua grande misericordia”.

Sfortunatamente, l'invito di Stefano non ebbe effetto. I tre fratelli, Tihomir, Miroslav e Strazimir, decisero di muovergli guerra: catturatolo nel 1167, lo gettarono in prigione . Dopo aver reso grazie all'Onnipotente per avergli data l'opportunità di rendere testimonianza ai patimenti di Gesù e dei suoi discepoli e santi, Stefano pregò con fervore san Giorgio, il grande soldato e martire: “Hai affrontato ogni sorta di terribili persecuzioni e sofferenze per amore di Dio, in Cristo, grazie allo Spirito Santo. O coraggioso, prega Cristo Dio di inviare a me, indegno peccatore e servo, il suo santissimo Spirito per confortarmi e liberarmi dai nemici e da tutti gli avversari”. Appena conclusa la preghiera, un angelo aprì miracolosamente la prigione e Stefano poté mettersi in salvo in terra sicura. Informati, i fratelli organizzarono lestamente le truppe - costituite da greci, bulgari, veneziani e ungheresi - e ripresero la guerra. Ma il popolo serbo sostenne in pieno il benevolo zupan e, con l'aiuto di san Giorgio, travolse i rinnegati fratelli nella battaglia di Pantine (1168), permettendo a Stefano di risalire al trono a Ras . Com'era suo costume, egli ringraziò l'Onnipotente di averlo liberato dai nemici con la costruzione di un monastero dedicato a san Giorgio il megalomartire, noto col nome di Djurdjevi Stubovi (“Le colonne di san Giorgio”) per i due imponenti campanili di fronte all'ingresso della chiesa principale. Tale monastero fu eretto dal 1168 al 1176 a 6 km. e mezzo a nordovest della chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Ras (Novi Pazar). Ne sopravvivono solo rovine e parti della chiesa principale, di cui stupendo è l'affresco sopra l'entrata, che raffigura il santo in sella: la devozione per “san Giorgio a cavallo”, ancora viva tra tutti i serbi devoti, è nata e venne diffusa al tempo del divinissimo e beato fondatore e unificatore della nazione serba.

Stefano e Anna avevano due figli, Vukan e Stefano, ma in età avanzata ne desideravano un altro, come nell'Antico Testamento Abramo e Sara (i genitori di Isacco, anziani di età) e nel Nuovo Testamento Zaccaria ed Elisabetta (i vecchi genitori di Giovanni Battista). Le loro preghiere salirono all'Onnipotente, che li udì e li benedisse con l'ultimo figlio, nato nel 1175, dopo 25 anni di matrimonio: Stefano ne aveva 61 e Anna 50. Il bambino fu battezzato col nome di Rastko, derivato dal verbo slavone rasti , “crescere” . E crebbe divinamente. Egli era un figlio amabile, di belle fattezze e pelle liscia, e già in tenera età possedeva un'insolita vigilanza e una condotta devota.

Dopo questo concepimento, Stefano e Anna non ebbero più alcun rapporto tra loro: come avevano promesso a Dio, vissero in castità il resto dei loro giorni . Inoltre, dopo la nascita di Rastko, lo zupan governò dando prova di maggiore religiosità e devozione. Come Costantino il Grande († 337; festa il 21 maggio), il celebre imperatore antico, egli volle fondare uno stato ortodosso.

Uno dei primi atti della trasformazione della nazione serba in nazione ortodossa fu la convocazione, nel 1186, di un sobor (assemblea nazionale) nel monastero di San Nicola, alla foce del fiume Banja (oggi presso Toplica). Stefano vi convocò il vescovo di Ras, Eutimio, i vari igumeni ei loro monaci, i reverendi sacerdoti, gli starsine (uomini di stato più anziani), i knezovi (principi) ei vojvode (conti, generali) con queste parole: “Venite a vedere, padri e fratelli! Benché io sia l'ultimo dei miei fratelli, il Signore Dio e la sua santissima madre, la Theotokos , non hanno guardato all'uomo esteriore, ma hanno reso degno me, che credo nella Trinità consustanziale e indivisa, di proteggere quanto mi è stato affidato, il mio gregge, dai lacci perniciosi del diavolo. Non lo ritenevo possibile nel mio paese, e tuttavia sono venuto a sapere che ci sono uomini malvagi e bestemmiatori dello Spirito Santo, i quali - come l'eretico Ario in passato - dividono l'indivisa Trinità. Si deve mettere fine e proibire i loro insegnamenti, o le fondamenta della nostra nazione saranno minate e noi precipiteremo all'inferno con quegli empi”. Le decisioni del sobor relative alla purificazione dell'anima ortodossa del popolo serbo ebbero sotto Nemanja pieno successo, poiché - grazie all'impegno e al lavoro sincero di vescovi, sacerdoti, monaci e capi civili e militari - in un quinquennio i serbi furono ricondotti alla giusta fede nel solo, vero Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo, Trinità consustanziale e indivisa.

Mettendo in pratica le parole Stolto è chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio (cfr. Lc 12,21), l'umile zupan preferiva “svuotarsi le tasche” a beneficio della nazione e di tutto il mondo cristiano. Eresse molte chiese, costruì scuole anche in villaggi remoti e due belle cattedrali in importanti centri stranieri: quella dell'Arcangelo Michele a Skopje e quella di San Panteleimon vicino a Nis . Elargì, inoltre, somme ingenti in oro e argento (e donazioni) a diverse chiese della cristianità: a quelle del Salvatore e di San Giovanni Battista di Gerusalemme, alla cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Roma, alla chiesa di San Nicola in Bari, alla chiesa della Theotokos Everghetis a Costantinopoli ea quella di San Demetrio a Salonicco. Nel 1186, infine, costruì un monumento eterno alla sua umile gloria: il monastero di Studenica, posto a gloria di Dio sul monte Radocelo, nella regione collinare della valle dell'Ibar, sulla riva destra della Studenica , a poco più di 30 km. dall'odierna città di Usce.

La “conversione” totale dei serbi all'Ortodossia non poteva realizzarsi semplicemente per questa politica o per le convinzioni e il duro impegno del grande zupan. Occorreva qualcos'altro: un profondo fervore, che avrebbe introdotto la Serbia nel regno del Signore - una vita di impegno cristiano - e ne avrebbe fatto un popolo ortodosso di Dio. Il primo grande passo fu compiuto nel 1193, quando il figlio minore dello zupan, Rastko, decise di abbandonare il palazzo reale di Ras per ritirarsi a vita monastica sull'Athos.

Ciò produsse un forte impatto nell'esistenza di Stefano, il quale, da gran fedele di Cristo, era portato a vedere l'azione di Dio in ogni persona ed evento legati alla sua vita. La scelta di Sava era per lui un segno e un messaggio: un invito a dedicarsi interamente all'Ortodossia, a guidare il popolo al regno dei cieli e, novello Mosè, condurre i serbi ai confini della terra promessa (la Chiesa ortodossa e la sua fede). Quindi, appena tre anni dopo, nel 1196 , in seguito alle molte preghiere da lui innalzate all'Onnipotente al fine di averne aiuto e alle numerose lettere di esortazione inviategli dall'amato figlio Sava, Stefano-Nemanja decise di abdicare al trono per entrare nel monastero di Studenica da lui stesso fondato. Aveva 82 anni. Ricevette la tonsura da Kalinik, vescovo di Ras, il 25 marzo 1196 (festa dell'Annunciazione) ed assunse il nome di Simeone . Il medesimo giorno ricevette la tonsura sua moglie Anna (di 70 anni) . Separata dal marito, si ritirò nel monastero della Santissima Vergine Maria a Kursumlija, col nome di Anastasia. Questa scelta era la prima nella storia della monarchia serba: significava l'accettazione piena dell'Ortodossia quale base per la vita religiosa del regno e poneva l'accento sull'ispirazione cristiana come criterio indispensabile di governo per ogni futuro re in Serbia. Dopo trentun anni di dominio terreno (1165-1196), Stefano Nemanja entrò nel regno eterno di Gesù Cristo in veste di monaco qualsiasi.

Prima di abdicare, egli aveva designato suo successore il secondogenito Stefano, rivolgendo alla corte queste parole: “Accoglietelo in mia vece. È un nobile ramo del mio albero. Lo pongo sul trono affidatomi da Cristo”. Al figlio maggiore Vukan diede da governare la provincia costiera della Dalmazia meridionale col titolo di principe. E li esortò ambedue: “Figli miei, ponete la vostra speranza in Dio e non vantatevi per la vostra sapienza e il vostro potere. Ecco il mio ordine, che viene dall'alto: “Non pensate male l'uno dell'altro, ma amatevi di vero amore. Chi non ama - infatti - non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore ( 1 Gv 4,8)””. Fu questo il suo ultimo atto prima di entrare nell'amato monastero.

Simeone visse a Studenica da semplice monaco per circa diciotto mesi, seguendo rigorosamente tutte le prescrizioni relative alle preghiere, ai digiuni, all'insegnamento e al lavoro. Fece incredibili progressi nel servizio del Signore e della comunità e riuscì, per grazia di Dio, ad organizzare l'economia, accrescere il numero dei monaci, costruirsi una cripta nella chiesa principale e nominare igumeno generale lo ieromonaco Dionisio. Ricevuta dal figlio minore una toccante lettera di invito, Simeone lasciò Studenica per riunirsi con lui: partì per l'Athos il 7 ottobre 1197 , scortato alla frontiera greca dal figlio Stefano, grande zupan di recente nomina, e da altri dignitari serbi. Giunse da Sava, al monastero greco di Vatopedi, il 2 novembre. Per la prima volta dopo tre anni rivedeva il figlio preferito, già monaco ricco di esperienza. Scrive il biografo Teodosio: “Rimasero muti e, se qualcuno non lo avesse sorretto, il padre sarebbe caduto a terra. Recuperata la compostezza, versò molte lacrime sul capo santo ea lungo agognato dell'amato figlio, abbracciandolo, baciandolo e strin-gendoselo al petto”. Scrive a sua volta Nicola di Zica (v. 18 marzo): “Simeone aveva 84 anni e Sava 27: un inverno im-biancato dalla neve e una primavera in fiore, ma due cuori ugualmente infiammati dall'amore per Dio. Solo dopo una lunga separazione genitori e figli sentono il reciproco amore e, ritrovandosi, scoprono quanto esso sia illimitato”.

Il dato più sorprendente dell'eredità di Sava e Simeone è stato il loro sforzo congiunto di offrire alla nazione serba un centro spirituale, in cui la preghiera ortodossa e la vita cristiana costituissero l'eterna fiamma di una lampada pronta a guidare i serbi verso il regno di Dio . Tale torcia inestinguibile e divina luce era Hilandar, inizialmente un piccolo insediamento monastico andato poi in rovina per parecchi anni e passato in proprietà del monastero di Vatopedi. Per la vita virtuosa di Sava, per la sua funzione di rappresentante dei confratelli di Vatopedi alla corte di Costantinopoli, e per il generoso apporto materiale di Simeone, con decreto imperiale le rovine di Hilandar furono cedute ai serbi per farne un monastero indipendente. Due sono i documenti relativi: la crisobolla dell'imperatore bizantino Alessio III Angelo del giugno 1198 e la carta del cofondatore del monastero, lo zupan Stefano Nemanja-monaco Simeone, della fine dello stesso anno. L'idea di un monastero serbo sull'Athos divenne quindi realtà quando il padre obbedì al figlio e ambedue queste colonne spirituali si consacrarono totalmente al nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo e alla santa Ortodossia.

In un anno e mezzo - novembre 1197/maggio 1199 - Simeone, proprio come spesso aveva fatto, riuscì a costruire la chiesa principale, dedicata alla Presentazione della Theotokos al tempio (festa il 21 novembre), ea completare la necessaria sistemazione dei numerosi monaci - celle, biblioteca, refettorio e foresterie -. Ma quello che vedeva dinanzi ai suoi occhi era un miracolo anche più grande: l'arrivo di molti giovani asceti serbi, desiderosi, quanto suo figlio Sava, di impegnarsi totalmente nella vita cenobitica. Il venerabile Simeone era di costante esempio: trascorreva parecchie ore in preghiera e serviva i monaci come una madre timorata di Dio accudisce i propri figli . Letteralmente “si consumava per il Signore” nel servizio dei confratelli. Il suo corpo, così, si indeboliva, ma si rafforzava il suo spirito.

Il 7 febbraio del 1200 Simeone si ammalò . Fece venire l'amato Sava e cominciò a dirgli: “Dolce figlio, consolazione della mia tarda età, ti prego, ascolta le mie parole. È giunto il tempo di separarci. Il Signore mi permette di accomiatarmi in pace, secondo quanto è scritto: Polvere sei e in polvere tornerai ( Gen 3,19). Non addolorarti per la mia perdita, figlio mio, perché tutti dobbiamo bere da questa coppa. Ci separiamo qui, ma ci ritroveremo là, dove non esiste separazione”. Levate poi le mani, le posò sul capo di Sava, esclamando: “Ti benedico. Ti conceda salvezza il Signore e possa tu fruire in ogni momento della mia preghiera incessante - e che non di meno proviene da un uomo peccatore - come di un aiuto e una consolazione per te”.

Sava si inginocchiò e disse in lacrime: “Mio signore e padre Simeone! Le tue preghiere mi hanno fin qui preservato da ogni male. Quando avrai raggiunto Cristo, invocalo perché egli mi protegga fino alla morte. Non dimenticare, nelle tue intercessioni, nessuno di noi. Non dimenticare la nostra Chiesa e il nostro popolo”.

Simeone inviò allora Sava dall'igumeno e dagli anziani dell'Athos perché preparassero la sua dipartita. Arrivati molti dei monaci, Simeone dispose: “Rimanete con me fino a quando canterete tutti sulla mia salma e mi seppellirete con i vostri inni sacri e onorevoli”.

Il 12 febbraio Simeone chiese a Sava: “Figlio mio, portami l'icona della santa Theotokos : ho fatto voto, infatti, di spirare davanti a lei”. E, in atto di umiltà estrema, lo pregò di un favore: “Ponimi sopra il drappo funebre e preparami in modo santo, perché devo scendere nella tomba. Stendi un tappeto sul suolo, distendimici sopra e colloca una pietra sotto il mio capo; fammi lì riposare fino a che Dio mi visiti e mi prenda con sé”. Il grande fondatore e padre della nazione serba giaceva ora sulla terra, avvolto in un mantello nero, e salutava tutti col capo, suscitando compassione e invocando perdono, preghiere e benedizioni.

Quella notte i monaci presero commiato e, dopo averlo benedetto, si recarono nelle proprie celle a riposare un po'. Solamente Sava e un ieromonaco (monaco sacerdote) rimasero col beato Simeone per tutta la notte. Il 13 febbraio , passata da poco la mezzanotte, Simeone tacque e non parlò più col figlio. Giunto il mattino, la sua faccia si illuminò ed egli, levando le mani al cielo, esclamò: Lodate Dio nei suoi santi, lodatelo nel firmamento della sua potenza ( Sal 150,1).

Sava gli domandò: “Padre, chi vedete?”.

Lodatelo per le sue opere potenti - riprese Simeone -; lodatelo secondo l'immensità della sua grandezza ( Sal 150,2). Pronunciate queste parole, lo spirito abbandonò il corpo ed egli si addormentò nel Signore. Sava cadde sul volto di lui e lasciò scorrere a lungo le sue lacrime; poi, levatosi, rese grazie a Dio di avergli concesso di assistere agli ultimi giorni del suo amato padre, morto a 86 anni.

Centinaia di monaci - greci, russi, bulgari e serbi - assieme a molti capi civili vegliarono in continuazione per nove giorni la salma di Simeone, con canti funebri e servizi liturgici. Collocato in una cripta lungo il muro sud della chiesa principale di Hilandar, subito il corpo diede segni di incorruttibilità: pelle intatta, morbida, rilucente e trasudazione di myron dalle mani e dal viso . E poiché l'amore eterno origina legami indissolubili, solo quattro mesi dopo - il 21 giugno 1200 - la beata principessa Anna-sant'Anastasia, la cara moglie di Simeone, morì per ricongiungersi al marito nel canto di lode alla Trinità.

Il corpo e le reliquie di Simeone rimasero per quattro anni (1200-1204) a Hilandar . Nel 1204, richiesto dal fratello Stefano al fine di salvare la Serbia dalla lotta fratricida per il controllo politico del regno, Sava si vide costretto a ritornare al monastero di Studenica con le reliquie vivificanti di san Simeone. Quando al Monte Athos giunse notizia delle terribili condizioni della Serbia, il corpo di san Simeone cessò di effondere il myron miracoloso. Simeone visitò in sogno il figlio Sava e lo esortò a raggiungere la patria per salvare la sua gente, la sua dinastia e la sua Chiesa. Il rientro di Sava in Serbia fu inoltre determinato da spaventosi fatti che coinvolsero l'Athos in seguito alla quarta Crociata voluta dalla Chiesa latina, durante la quale Costantinopoli fu saccheggiata e la Santa Montagna posta sotto l'autorità di un vescovo cattolico romano. Sava partì angosciato; ma san Simeone non abbandonava Hilandar e l'Athos: sulla sua pietra tombale crebbe un'enorme vite, i cui tralci e grappoli fino ad oggi hanno operato miracoli, specialmente a favore di coppie sposate con “difficoltà ad avere figli”.

Sava portò con sé la “medicina” per curare il popolo: il corpo e le reliquie del padre; e invitò i fratelli Stefano e Vukan al monastero di Studenica per rendere giusto pomen (ufficiatura per i defunti) al padre . All'apertura della bara, videro la salma trasudante ancora olio fragrante e myron. Simeone si presentava vivo, caldo e radioso, come se stesse dormendo un sonno ristoratore. Sava esortò i fratelli ad avviare colloqui di pace, ed essi lo fecero, avendo presenti le ultime parole del loro padre amante della concordia: “Non pensate male l'uno dell'altro”. La guerra civile fu così scongiurata. Ancor oggi il corpo e le reliquie di Simeone, assieme a quelle della moglie Anastasia e del figlio Stefano, giacciono in riposo eterno nel monastero di Studenica, assicurando salute e unità a quanti le venerano con fede, speranza e amore .

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Amando la vita angelica in terra, * hai rinunciato al potere e al mondo * e hai seguito Cristo nel digiuno, o Simeone. * Imitando gli apostoli, guidi a Cristo quanti ti amano, * proclamando: “ Amate Dio come egli ama noi” .




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