Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele erano di nazionalità egiziana e convertendosi al cristianesimo assunsero i nomi suddetti di origine bibblica. Si recarono in Cilicia, regione della Turchia meridionale, al fini di visitare e portare conforto ad altri neofiti condannati ai lavori forzati nelle miniere. Con l'avvento al trono imperiale di Galerio Massimiano, si intensificarono le violente persecuzioni contro i cristiani già iniziate dal suo predecessore Diocleziano. Fu così che Elia ed i suoi compagni, una volta sulla strada di ritorno, furono arrestati dalle guardie imperiali presso Cesarea di Palestina. A quel tempo in questa città soggiornava il celebre storico ecclesiastico Eusebio di Cesarea, che riportò la vicenda nella sua opera “Martiri della Palestina”. I cinque furono condotti al cospetto del governatore Firmiliano e, orribilmente torturati, fu chiesto loro il nome e la terra d'origine: Elia elencò i nomi di tutti ed affermò che la loro patria era Gerusalemme, alludendo in tal modo alla loro meta, la Gerusalemme celeste. Infine vennero decapitati il 16 febbraio 310.
Secondo la testimonianza di Eusebio, il medesimo giorno furono martirizzati il suo maestro, amico e forse congiunto Panfilo, presbitero, i diaconi di Gerusalemme Valente e Paolo, provenienti dalla città di Iamnia, già incarcerati da due anni, Porfirio, servo di Panfilo, Seleuco della Cappadocia, centurione, Teodulo, anziano servitore della casa del governatore Firmiliano e per ultimo Giuliano della Cappadocia, che essendo entrato in città proveniente dalla campagna proprio quando gli altri martiri venivano uccisi ed accusato di essere cristiano perché ne aveva baciati i corpi, fu condannato ad essere bruciato a fuoco lento. Le vicende di questo secondo gruppo sono narratte a parte su questo scritto nella scheda “San Panfilo e compagni”, in quanto un tempo essi erano commemorati separatamente al 1° giugno.
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